La Toscana
La cultura italiana della tavolaCena e Degustazione
Cena e Degustazione
Venerdì 17 Febbraio, h 20,30
posti limitatissimi
La Fraschetta di Mastro Giorgio, Via Alessandro Volta 36, Testaccio (Roma)
A raccontarci le ricette toscane: lo Chef Umberto Daeder
A raccontarci il vino: Fabrizio Forconi della Cantina Podere dell’Anselmo di Montespertoli (FI)
Ad arricchire la cena i prodotti di :
Antica Macelleria Cecchini di Panzano in Chianti
Salumificio Artigianale Renieri di Poggibonsi
Biscottificio Famiglia Desideri
Il menu:
ANTIPASTO:
servito con Focaccia Calda fatta in casa con Farina di Germe di Grano e Lievito Madre, Grissini Artigianali tirati a mano e Pane “Sciapo”
*****
Insalatina tiepida di Tonno del Chianti e fagioli cannellini biologici
Servito con Terre di Bracciatica IGT
*****
Cinta Senese tagliata a mano “Renieri”
Servito con Marea IGT
*****
PRIMO:
Tortelli di patate al ragù toscano
servito con Chianti Montespertoli DOCG
*****
SECONDO:
Peposo con cavolo nero ripassato
Servito con Pax DOCG
*****
PER CONCLUDERE:
Crostino con patè di fegatini toscano e confettura di cipolla rossa
Cantucci di Prato “Desideri”
Servito con Vinsanto del Chianti DOC Dedicato alla Gioia
Partecipazione: € 65
Prenotazione entro e non oltre martedì 14 febbraio previo versamento di un acconto di € 10 ad ospite a:
La Fraschetta Srl
IBAN: IT42I 03440 03218 000 000 175 100
Bic/Swift BDBDIT22
Causale: degustazione 17.02.23 per ….persone
Una volta effettuato il bonifico sarà opportuno segnalarlo ai contatti in calce.
Info e prenotazioni:
06 574 1369
info@lafraschettadimastrogiorgio.com
Testaccio (Roma), Via Alessandro Volta 36
PER SAPERNE DI PIù…
Tonno del Chianti
(da Foodalo)
Una vera e propria eccellenza gastronomica toscana è considerata la carne di suino di razza cinta senese che viene allevata allo stato brado o semi brado: specie che ha rischiato l’estinzione, scongiurata con progetti realizzati ad hoc e il conferimento del marchio DOP.
Quella della lavorazione anche familiare delle carni di maiale era un’usanza che riguardava soprattutto il ceto medio-basso, un po’ in tutta la penisola, che aveva la necessità di fare scorte per l’inverno e buona parte della primavera. Anche chi viveva in città con l’arrivo dell’autunno si spostava in campagna per dedicarsi a questa rituale incombenza.
Il Tonno del Chianti è un’antica ricetta Toscana a base di carne di maiale così chiamata perché ricorda nell’aspetto e nella consistenza quella del tonno sott’olio. L’idea nacque appunto dalla necessità dei contadini di conservare la carne di maiale, in particolare quella in eccesso e quindi di seconda scelta o quella dei maiali che si era costretti a macellare in estate, per le più disparate motivazioni, in un periodo nel quale tradizionalmente questa pratica era interrotta.
Al tempo, essendo sprovvisti di frigoriferi, e impossibilitati dalle temperature a realizzare insaccati da stagionare si aguzzava l’ingegno: non è un caso infatti che la ricetta sia analoga al tonno di coniglio piemontese, visto che nasce in un contesto sociale simile
Trovò massima diffusione sul territorio intorno ai primi anni cinquanta, notoriamente anni di forte depressione economica! Di questa antica preparazione si era progressivamente persa memoria fino a quando il macellaio-chef Dario Cecchini la conobbe, grazie ai racconti di un anziano signore. Decise così di approfondire le sue ricerche e di riproporla, riscuotendo subito grandi consensi, al punto che oggi, trascorso non tanto tempo dalla sua diffusione, è considerata un must della cucina tradizionale Toscana.
Il ritrovato gusto per i sapori genuini e per la cucina povera che rappresenta scoperta e cultura delle tradizioni locali, hanno fatto sì che il Tonno del Chianti sia oggi servito come piatto gourmet in tutti quei ristoranti, non solo toscani, che valorizzano la gastronomia del territorio.
Il procedimento per realizzare il Tonno del Chianti è un po’ lungo ma semplice e il risultato eccellente che si ottiene val bene il tempo e l’impegno profusi.
Peposo
(da Wikipedia)
Il peposo è un piatto tipico toscano, originario dell’Impruneta. La dizione corretta è “peposo all’imprunetina” ma talvolta viene chiamato anche “peposo alla fornacina” .
Ricerche storiche fanno risalire la preparazione di questo piatto all’epoca di Messer Filippo di Brunellesco Lapi (1377 – 1446). Durante la costruzione della famosa cupola della cattedrale di Santa Maria del Fiore sembra, infatti, che i fornacini addetti alla cottura dei mattoni facessero largo uso di questa pietanza.
l fornacini usavano cuocere la carne in contenitori di coccio, posti all’imboccatura del forno, mentre preparavano i mattoni (Nei forni dell’Impruneta sono stati cotti anche i mattoni per la cupola del Duomo di Firenze del Brunelleschi) Per coprire l’odore di una materia prima non sempre freschissima, veniva aggiunta una dose generosa di vino rosso e di pepe in grani. La lunga cottura avrebbe ammorbidito ed insaporito anche la carne più coriacea, da gustare accompagnata a razioni abbondanti di pane.
La denominazione della preparazione del “peposo all’imprunetina”, il cui marchio è depositato presso l’Ufficio Marchi e Brevetti della Camera di Commercio di Firenze, è riservata al prodotto ottenuto in conformità al disciplinare di produzione.
Preparazione
Per la preparazione del piatto si utilizzano esclusivamente i seguenti ingredienti:
- Carne di manzo allevato in Toscana, taglio muscolo o guancia 2. Pepe in grani 3. Aglio (opzionale) 4. Vino Chianti 5. Sale
Per la preparazione del “peposo all’imprunetina” a marchio registrato non è ammesso l’utilizzo di nessun altro ingrediente ed in particolare di pomodori, pomodori pelati o concentrato di pomodoro.
Il processo di produzione del “peposo all’imprunetina” a marchio registrato prevede le seguenti fasi di lavorazione:
- a) Riscaldamento del forno b) Rosolatura della carne c) Aggiunta del vino d) Aggiunta del pepe in grani ed eventualmente dell’aglio e) Cottura prolungata f) Presentazione su fette di pane abbrustolito
Bistecca Panzanese (Antica Macelleria Cecchini)
(da Innaturale)
La bistecca panzanese è un taglio meno noto della mitica fiorentina, ma secondo il famoso macellaio Dario Cecchini altrettanto nobile. Mentre la fiorentina viene da una parte del costato del manzo, la bistecca panzanese viene ricavata dalla coscia dell’animale, una parte insolita ma altrettanto pregiata. Il leggendario Cecchini ha spiegato come prepararla in modo perfetto.
Per fare una perfetta bistecca panzanese c’è bisogno innanzitutto del giusto taglio di carne. Si tra di quello che a Firenze è conosciuto come mela, nel resto d’Italia come scamone. Si tratta di un taglio pregiato e magro, che fa da ponte tra la lombata e la coscia, solitamente impiegato per il carpaccio o il roastbeef. Nella versione proposta da Dario Cecchini però del taglio viene selezionato esclusivamente il cuore del muscolo, da cui si ricavano fette spesse.
Per cucinarla bisogna toglierla dal frigo in anticipo, minimo 10 ore prima dell’effettiva cottura. Rigorosamente alla brace, bisogna aspettare che questa sia di un rosso intenso, ardente, in modo che la carne cuocia alla perfezione. I tempi sono fondamentali: con la griglia vicino al fuoco si tiene 5 minuti per lato, per finire poi con 15 minuti di cottura dritta su un lato.
Ribollita
(da Wikipedia)
La Ribollita, o minestra di pane, è un piatto che deriva dalla tipica zuppa di pane raffermo e verdure che si prepara tradizionalmente in alcune zone della Toscana, in particolare nella zona di Siena, Firenze, Pistoia, Prato e Arezzo e nella Piana di Pisa.
È un tipico piatto “povero” di origine contadina, il cui nome deriva dal fatto che un tempo le contadine ne cucinavano una gran quantità (soprattutto il venerdì, essendo piatto magro) e quindi veniva “ribollito” in padella nei giorni successivi, da qui che prende il nome di ribollita, perché la vera zuppa si riscalda due volte, altrimenti sarebbe una banalissima zuppa di pane e verdure (da non confondersi dunque con la minestra di pane).
Le prime tracce di questa preparazione risalgono al 1910 nel libro L’arte cucinaria in Italia di Alberto Cougnet.
Gli ingredienti fondamentali sono il cavolo nero e i fagioli (borlotti, toscanelli o cannellini). La ribollita è un piatto invernale di aspetto semisolido. Per rendere migliore la zuppa è necessario che il cavolo nero abbia “preso il ghiaccio”, che sia passato cioè da una o più gelate invernali che ne ammorbidiscano le foglie.
La cosa migliore è “ribollire” la zuppa nel forno a legna comunque in un tegame con un fondo spesso oppure un doppio fondo acciaio-rame o acciaio-alluminio per evitare che si attacchi e si bruci.
Si usa aggiungere alla “ribollita” un filo d’olio extravergine e affettarci una cipollina fresca. Come tutte le altre minestre di verdura anche la ribollita diventa sempre più gustosa ogni volta che viene “ribollita” sul fuoco.
Pici
(da Cookist)
I pici sono una pasta fresca, simile agli spaghetti, che si realizza con acqua, farina e sale. Una preparazione semplice, tipica della tradizione culinaria toscana: un piatto “povero” legato alla cucina contadina. I pici si possono abbinare a diversi condimenti, grazie alla loro capacità di adattarsi alle varie preparazioni: con cacio e pepe, alle briciole, all’aglione, con il ragù, e in tanti altri modi.
L’origine dei pici risale all’epoca etrusca e, la zona in cui sarebbero nati, sembra essere quella al confine tra Toscana, Umbria e Lazio. In queste regioni, infatti, troviamo la stessa preparazione, ma con nomi diversi: torcolacci, filarelli, pisciarelli, lilleri laziali, lombrichelli viterbesi, stringoli umbri e stringozzi perugini. A rendere diverse la varie preparazione è soltante il condimento, che cambia da una regione all’altra. Secondo la tradizione contadina i pici venivano conditi semplicemente con olio, cipolla e sale o con cacio e pepe. Condimenti più ricchi erano quelli con ragù di anatra, sugo di salsiccia e funghi o patate e fagioli, mentre il picio per antonomasia è quello all’aglione realizzato con aglio, pomodoro e piccante, oppure ci sono i pici alle briciole, tipici di Montepulciano
In merito alle origini del nome “pici”, secondo alcuni sarebbe lagato alla figura di Marco Gavio Apicio, importante gastronomo romano e autore della famosa opera De re Coquinaria. Secondo altri, invece, deriverebbe da San Felice in Picis, località dell’aretino. Con molta probabilità, invece, il nome “pici” sarebbe nato dal gesto che si compie con il palmo della mano, nel momento in cui si dà la forma al picio: gesto che, nel gergo culinario toscano, è “appicciare“.
Aglione
(da Aglione e Bistrotfattammano)
In cucina è presente in molte ricette della tradizione toscana. Più dolce e molto meno invasivo dell’aglio, è fondamentale per i pici all’aglione: gustosissimo e salutare piatto, tipico della campagna senese.
Fin dall’antichità l’aglio è stato usato per scopi curativi: protegge dalle tossine e dalle infezioni, riduce la pressione sanguigna… ed altro ancora.
L’Aglione è una varietà di Allium ampeloprasum var. Holmense (Mill.) Asch. et Graebn. tipica della Val di Chiana, un territorio particolarmente vocato per l’orticoltura, che si estende tra le province di Arezzo, Siena e Perugia. La pianta si caratterizza per spicchi molto più grandi di quelli dell’aglio comune, che arrivano a pesare 70-80g, e i bulbi superano normalmente I 500g.
Più dolce e molto meno invasivo dell’aglio, è presente in molte ricette della tradizione toscana.
Il sugo all’Aglione è un ragù tipico della tradizione amiatina e toscana, a base di Aglione della Val di Chiana, pomodoro e peperoncino. Un sugo semplice e al tempo stesso dal carattere forte, perfetto con i pici, ma che può accompagnare anche paste corte o crostini di pane.
Cinta Senese
Le origini di questa razza sono molto antiche ed esistono testimonianze pittoriche che dimostrano l’allevamento di suini simili all’attuale Cinta Senese fin dal Medioevo. Il tratto più caratteristico di questo suino è la presenza di una cinghiatura bianca, che dà il nome alla razza, su un mantello che è di colore nero-ardesia.
Le carni della Cinta Senese hanno ottime qualità organolettiche. Il grasso è di colore rosato; anche le carni hanno un colore più intenso rispetto agli altri suini. Le particolari condizioni di allevamento e alimentazione hanno positivi effetti sulla sapidità e sulla succulenza della carne che vanta migliori qualità dietetiche per la maggiore concentrazione di acidi grassi insaturi, in particolare della serie Omega 3 (i quali sono associati a una diminuzione dei grassi nel sangue) e Omega 6 (azione antitrombosi). Rispetto a quello tradizionale di altre razze il lardo è più ricco di acido oleico, che tiene lontano il colesterolo, e di acidi grassi polinsaturi. Il grasso con cellule più grandi e ricche di acqua è meno consistente e più fluido, perciò molto più gradevole al palato; la sua migliore fluidità, dovuta ad una maggiore insaturazione, permette nei salumi che si ottengono una più rapida diffusione degli aromi usati per la speziatura, assicurando al prodotto ottime caratteristiche aromatiche.
E’ una razza molto rustica e frugale, per cui la sua struttura si avvicina al tipo longilineo, con arti abbastanza lunghi ma robusti, tronco poco profondo, testa allungata a profilo rettilineo, adatta al pascolamento.
L’area di origine e di allevamento della Cinta Senese è quella della Montagnola Senese, compresa nel territorio dei comuni di Monteriggioni, Sovicille, Gaiole, Castelnuovo Berardenga e Casole d’Elsa, nel territorio delimitato dall’alta valle del fiume Merse da una parte e dall’alta valle del fiume Elsa dall’altra.